giovedì 29 febbraio 2024

Le perle lucane. 2. Lagonegro

«Partiamo da Lauria dopo avervi passata la notte, ma ancor troppo presto per poterne discernere la posizione; abbiamo fatto ventotto miglia alla vigilia, siamo andati avanti il giorno prima, ed un’ora dopo […]. Partiamo, dunque, due ore prima del far del giorno, temendo davvero di non poter trarre vantaggio del Paese singolare che ci avviamo a traversare, come gli strani cammini per i quali passiamo. 

Al crepuscolo ci troviamo in una vasta foresta, tra gli alberi dai quali intravediamo la cima dorata dell’Appennino, che in tutta questa parte dell’Italia, e soprattutto al levar del sole, forma il più maestoso e più imponente colpo d’occhio; infine, un po’ a piedi ed un po’ a cavallo, arrampicandoci di roccia in roccia, arriviamo in un posto chiamato Lago Negro, la cui posizione è veramente la più strana al mondo. 

Questo Borgo, costruito in mezzo a tutte queste Montagne e con un antico Castello posto sulla sommità stessa d’una Rupe a picco ed assolutamente isolata, ci procura, arrivando, una delle vedute più singolari e pittoresche che abbiamo incontrato in tutto questo Paese. Un piccolo Fiume, che si chiama Sargipiano, scorre ai piedi della Montagna. Lago Negro è, per il resto, assai ben costruito, e al contempo sembra assai popolato. Al centro della Città vi è una grande Piazza, che non resta che attraversare. Da Lago Negro per arrivare a Casal Nuovo, ci sono ancora altre otto miglia da percorrere, attraverso altre Montagne, ma che non hanno nulla di rimarchevole»

 (R. de Saint-Non, Voyage pittoresque ou description des Royaumes de Naples et de Sicile. Troisième volume, contenant Le Voyage ou Circuit de la partie Méridionale de l’Italie, anciennement appellée Grande-Grèce, avec approbation, et privilége du Roi, à Paris 1783, 3, cap. 9, pp. 148-149, nostra traduzione)

giovedì 1 febbraio 2024

Le perle lucane. 1. Acerenza

Iniziamo, con questo post, la pubblicazione di alcune testimonianze relative ai luoghi storicamente, culturalmente e paesaggisticamente più significativi di Basilicata.


«Non hà per dir vero di considerevole hora, che il tempio, di vecchia, e sontuosa eleganza, con la Sagrestia ben guernita, dedicato nel 1082. all’Assuntion della Vergine, ed à S. Canione Martire, ove offitian, l’Arcidiacono, il Cantore, dodeci Canonaci, e vari Preti minori. Non hà simile nella vastezza dentro i confini della Provincia, partito in trè ale, con la forma della Croce, e ben alto. Vi è il sotterraneo, che chiaman Sagra Confessione, con trè Altari, nel primo de’ quali dicono, che il Vescovo Leone del 799. chiudesse il Corpo, che vi si adora del sudetto Santo Martire Protettore. Si venera egli al quinto decimo di Maggio, nel qual giorno sgorgano le sue ossa un dolce, e salubre liquore, usato proficuamente ne’ morbi. Vicino la Sagrestia, in un forame dell’Altar di marmo, ch’espone la statua del Santo, si vede, e tocca il suo Pastorale, che tal volta si ritira, e non si rinviene per molti mesi, dando cagione a’ prognostici dello sdegno del Signore» 

(Pacichelli, Il Regno di Napoli, vol. I, p. 268).

«Una sorta di cima meno elevata delle montagne circostanti divide in due parti il bacino quasi circolare che formano; è come un istmo posto fra i due fiumi per unire alla catena dell’ovest la montagna conica a pan di zucchero che li domina e si erge al centro della cerchia. […] Nulla di più curioso e sorprendente dell’aspetto di questo cono di diverse centinaia di metri d’altezza, con i fianchi in ripida pendenza, coperti di coltivazioni, soprattutto vigneti, meno sul lato sud, che sorge dal suolo di una larga e profonda conca di montagne aperta su un solo punto, e che ha sulla sommità una città appollaiata come un nido d’aquila, a mille metri di altitudine sul livello del mare. Questa città è Acerenza. Per giungervi, una volta discesi sul fondo della vallata, bisogna fare più di due ore di salita attraverso una strada dai numerosi interminabili tornanti. È circondata ancora dalla cinta smantellata degli antichi bastioni medioevali, sui quali in più punti si sono costruite case più moderne. In gran parte del loro perimetro questi bastioni sono come basamento di rocce scoscese; così la città non è accessibile che dal lato sud: è là che si apre l’unica porta innanzi alla quale si ricongiungono tutte le strade, da qualunque direzione provengano. La cattedrale si eleva immediatamente al di sopra del bastione all’estremità orientale della città che domina con la sua mole imponente e misteriosa. […] Situata com’è su un picco isolato, scoperta da tutti i lati, è veramente il regno del vento […]. In qualsiasi direzione se ne consideri la visuale, il paesaggio che si abbraccia dall’alto dei suoi bastioni è veramente pittoresco e di una originalità che colpisce, ma piuttosto austero» 

(F. Lenormant, Acerenza, Alfagrafica Volonnino, Lavello 1994, pp. 23-24).


giovedì 18 gennaio 2024

Orazio. 3. La biografia di Svetonio

Quinto Orazio Flacco di Venusia aveva per padre, come egli stesso scrive, un liberto che raccoglieva denaro alle aste; ma si crede che fosse commerciante di provviste salate, poiché un certo uomo in una lite così schernì Orazio: "Quante volte ho visto tuo padre asciugarsi il naso con il braccio!".

Orazio prestò servizio come tribuno dei soldati nella guerra di Filippi, su istanza di Marco Bruto, uno dei capi di quella guerra. Quando il suo partito fu sconfitto, fu graziato e acquistò la carica di impiegato del questore. Poi, riuscendo ad ingraziarsi prima Mecenate e poi Augusto, occupò un posto di rilievo tra gli amici di entrambi. Quanto Mecenate gli fosse affezionato è abbastanza evidente dal noto epigramma:

Se più della mia vita, caro Orazio,
io non ti voglio bene, tu vedere
possa l'amico tuo assai più secco
di Ninnio!

Ma in modo molto più forte si espresse nelle sue ultime volontà e testamento in questa breve osservazione ad Augusto: "Ricordati di Orazio Flacco come di me stesso". Augusto gli offrì il posto di segretario, come risulta da questa sua lettera a Mecenate: 

Prima di ciò avevo potuto scrivere le mie lettere ai miei amici di mia mano; ora, oberato dal lavoro e in cattiva salute, desidero portarti via il nostro amico Orazio. Verrà allora da quella tua tavola parassitaria al mio tavolo imperiale, e mi aiuterà a scrivere le mie lettere.

Anche quando Orazio rifiutò, Augusto non mostrò alcun risentimento e non cessò i suoi sforzi per guadagnarsi la sua amicizia. Disponiamo di lettere di cui allego alcuni brani a titolo di prova:

Goditi ogni privilegio in casa mia, come se lì stessi facendo la tua dimora; poiché sarà del tutto giusto e conveniente che tu lo faccia, in quanto ciò è stato il rapporto che avrei voluto avere con te, se la tua salute lo avesse permesso.

E ancora:

Quanto io ti ricordi, te lo può dire anche il nostro amico Settimio; infatti è capitato che parlassi di te in sua presenza. Anche se eri così orgoglioso da disprezzare la mia amicizia, non ricambio quindi il tuo disprezzo.

Oltre a ciò, tra gli altri convenevoli, lo chiamava spesso "un libertino immacolato" e "il mio affascinante ometto", e lo faceva bene con più di un atto di generosità. Quanto ai suoi scritti, Augusto li stimava così in alto ed era così convinto che sarebbero stati immortali, che non solo lo incaricò di scrivere il Carme Secolare, ma gli ordinò anche di celebrare la vittoria dei suoi figliastri Tiberio e Druso sui Vindelici. E così lo costrinse ad aggiungere un quarto ai suoi tre libri di Odi dopo un lungo silenzio. Inoltre, dopo aver letto diversi suoi Sermones, l'imperatore espresse così il suo disappunto per il fatto che non si facesse menzione di lui:

Devi sapere che non sono non contento di te, che nei tuoi numerosi scritti di questo genere non parli con me, piuttosto che con altri. Hai paura che la tua reputazione presso i posteri ne risenta perché sembra che tu fossi mio amico?

In questo modo costrinse Orazio alla lirica che inizia con queste parole:

Tanti e cosí grandi sono gli impegni 
cui da solo devi far fronte (difendere 
i domini dell'Italia con le armi, 
migliorarla nei costumi, guarirla con le leggi), 
che rubarti il tempo con un lungo discorso 
offenderebbe, Cesare, gli interessi del popolo. 


Di persona era basso e grasso, come viene descritto con la propria penna nelle sue satire e da Augusto nella lettera seguente:

Onisio mi ha portato il tuo volumetto, e lo accetto, piccolo com'è, in buona fede. Ma mi sembra che tu abbia paura che i tuoi libri siano più grandi di te stesso; ma è solo la statura che ti manca, non la circonferenza. Quindi puoi scrivere su un vaso da una pinta, che la circonferenza del tuo volume potrebbe essere ben arrotondata, come quello del tuo ventre.

Si dice che fosse eccessivamente lussurioso; infatti si racconta che in una stanza rivestita di specchi egli avesse disposte delle prostitute in modo tale che, dovunque guardasse, vedeva un riflesso di Venere.Visse per lo più in campagna, nella sua tenuta sabina o tiburtina, e la sua casa è segnalata vicino al boschetto di Tiburno.

Possiedo alcune elegie attribuite alla sua penna e una lettera in prosa, ritenuta una sua raccomandazione a Mecenate, ma penso che entrambe siano spurie; poiché le elegie sono comuni e la lettera è inoltre oscura, il che non era affatto uno dei suoi difetti.

Nacque il sesto giorno prima delle Idi di dicembre sotto il consolato di Lucio Cotta e Lucio Torquato, e morì il quinto giorno prima delle Calende dello stesso mese sotto il consolato di Gaio Marcio Censorino e Gaio Asinio Gallo, cinquantanove giorni dopo la morte di Mecenate, nel suo cinquantasettesimo anno. Nominò Augusto come suo erede a voce, poiché non poteva fare e firmare un testamento a causa dell'improvvisa violenza della sua malattia. 

Fu tumulato vicino alla tomba di Mecenate, nella parte più lontana del colle Esquilino.

giovedì 14 dicembre 2023

Paesi lucani. 66. La Fontana Vecchia a Pignola (Rosanna Lagrotta, Giada Mecca, Laura Senesi)

Un’antichissima fontana di grandi dimensioni presente a Pignola è la Fontana Vecchia. 

La fontana vecchia è costituita da grandi vasche per abbeverare gli animali e una vasca con lo strecatur', come si chiamava in dialetto lo strofinatoio sul quale si lavava la biancheria. Nel passato, infatti, le fontane pubbliche di Pignola erano luoghi d’incontro ed erano utilizzate per molteplici motivi: le donne si incontravano per lavare la biancheria e gli alimenti ma principalmente un luogo per chiacchierare e socializzare. Gli uomini aspettavano le donne presso le fontane tentando di conquistarle, perché attratti dal movimento dei corpi femminili.  


Fontana Vecchia è in pietra ed è stata realizzata probabilmente tra il Seicento e il Settecento ma è stata distrutta e ricostruita più volte per via di terremoti. A seguito del terremoto del 23 novembre 1980 è andata distrutta di nuovo ed è stata ricostruita così come la vediamo oggi. 

Essa presentava pinnacoli a forma di pigna proprio perché ricordava Pignola, era una zona di mercato e rimase non asfaltata fino al secondo dopoguerra. 

Al di sopra delle vasche ci sono i tre mascheroni che rappresentano i caratteristici leoni. Hanno un compito importante: quello di allontanare il male e i nemici proprio come tutti gli altri mascheroni che ci sono in giro per il paese. 

La struttura, inoltre, presenta tre fontane, da due delle quali scorre acqua non potabile, mentre da quella centrale l'acqua risulta potabile. Probabilmente la fontana prima raccoglieva l'acqua piovana e ciò permetteva il ricircolo dell'acqua che andava poi a finire in uno scarico comune. 

Di fronte si trovava una villetta recintata che faceva parte di un enorme palazzo di una nobile famiglia pignolese.

giovedì 30 novembre 2023

Il Mezzogiorno moderno. 25. L’editoria di Stato nel Decennio francese

La breve stagione del Decennio francese segna, per Napoli, la cruciale transizione dall'antico regime tipografico alla più avanzata condizione del lavoro editoriale nel quadro delle generali trasformazioni operate dai Napoleonidi. Il tema editoriale mostra, infatti, ulteriormente l’attenzione dei Napoleonidi ai linguaggi ed alle forme comunicative con l’istituzione di una vera e propria industria editoriale di Stato, tendente alla specializzazione grazie alla divisione di compiti tra privati appaltatori e Stamperia Reale e mirante in primis ad allargare il pubblico, formando quell’opinione pubblica mancata nell’esperimento repubblicano del 1799 a Napoli. 

Proprio l’esempio della vera e propria rinascita della Stamperia Reale, rilanciata da Giuseppe Bonaparte premettendovi a capo Francesco Daniele, consente di mostrare il rilancio di un organismo editoriale fondamentale per l’immagine dei sovrani presso un più vasto pubblico.  

Nato, nel 1740, presso la piccola frazione di San Clemente di Caserta, Daniele si trasferì a Napoli per intraprendere gli studi universitari. Singolari furono i suoi interessi per la filosofia, l’oratoria e la giurisprudenza, ma ancora più importanti furono le sue frequentazioni con noti intellettuali del tempo, come Antonio Genovesi, Antonio Cirillo e Matteo Egizio. I suoi interessi letterati iniziarono dopo aver curato, nel 1762, un’edizione delle opere di Antonio Telesio, zio del più famoso Bernardino. Il successo ottenuto gli procurò non pochi consensi intellettuali, tanto da essere incaricato, poco dopo, come responsabile della pubblicazione di alcuni componimenti poetici di Marco Mondo, padre di Domenico, pittore di corte dei Borbone. Dopo una breve esperienza come avvocato, fece ritorno presso la casa natale per occuparsi di alcune proprietà familiari. Questa nuova responsabilità gli diede, però, la possibilità di portare avanti i suoi studi classici, acquisendo specifici documenti e oggetti antichi provenienti dal territorio casertano. Contestualmente, diede vita a una ricca biblioteca. Verso la fine del secolo produsse una serie di libri, di cui alcuni dedicati alla trattazione critica della storia della città di Caserta. La fortuna ottenuta da tali lavori gli venne altresì riconosciuta dal marchese Domenico Caracciolo, che lo riconvocò a Napoli per fargli assumere l’incarico di Regio Istoriografo.


Successivamente entrò a far parte dell’Accademia della Crusca, ma soprattutto divenne censore della Reale Accademia di Scienze e Belle Lettere. Ancora, gli venne conferito l’onere di sistemare la prestigiosa raccolta di volumi della Biblioteca Farnese e venne, inoltre, associato all’Accademia Ercolanense, sodalizio con cui doveva realizzare dei volumi dedicati alle scoperte archeologiche di Ercolano e Pompei. Con lo scoppio della rivoluzione del 1799, fece ritorno a San Clemente, dove si impegnò nello studio delle monete in uso nell’antica Capua.

Durante l’epoca napoleonica, gli vennero restituite tutte le cariche precedenti e, in particolare, venne nominato segretario perpetuo della Nuova Accademia di Storia e di Antichità, ma anche, come detto, direttore della Stamperia Reale. La sua fama giunse pure all’estero, tanto da essere associato alla Royal Society di Londra e, qualche tempo dopo, all’Accademia delle Scienze di San Pietroburgo.

Dalla stampa del Codice di Commercio agli Herculanensium Volumina, Daniele riavviò con forza l’attività editoriale della Reale, nel contempo servendo egregiamente agli scopi dei Napoleonidi. Tale ripresa, stimolata ai massimi livelli da Gioacchino Murat tra il 1810 ed il 1811, portò la Stamperia Reale a trasformarsi in Stamperia Reale di Arti e Lettere, lasciando il «Bullettino delle Leggi del Regno di Napoli» e vari testi di tipo giuridico alla Stamperia della Segreteria di Stato, mentre diversi, capaci privati venivano incaricati di stampare manuali e materiale didattico per l’Accademia della Nunziatella.

Un progetto, dunque, di attivo e sostanziale coinvolgimento di intelligencja e risorse socio-imprenditoriali nella costruzione del consenso e di classi altamente professionalizzate, che ebbe ripercussioni anche nei territori napoleonici settentrionali.


Le perle lucane. 2. Lagonegro

«Partiamo da Lauria dopo avervi passata la notte, ma ancor troppo presto per poterne discernere la posizione; abbiamo fatto ventotto miglia ...