martedì 7 maggio 2013

La Basilicata contemporanea. 1. Giustino Fortunato, padre nobile della politica lucana


Giustino Fortunato nacque il 4 settembre 1848 a Rionero in Vulture (Potenza) da Pasquale e Antonia Rapolla, in una famiglia caratterizzata da solida lealtà alla dinastia borbonica.
Frequentò un convitto di gesuiti a Napoli fino al 1860, quando venne ricondotto a Rionero, ove si provvide privatamente alla sua istruzione. Nel 1861, mentre infuriava la rivolta filoborbonica, che ebbe il suo centro proprio nel Melfese, due zii paterni, Gennaro e Giuseppe, furono arrestati con l'accusa di cospirazione contro il nuovo Regno e di intese con i capi briganti. In seguito fu arrestato anche il padre del Fortunato, per oltraggio all'ufficiale che aveva eseguito i mandati di cattura. Da questa accusa i Fortunato furono assolti per insufficienza di prove nell'agosto 1862.
Nell'autunno del 1862 tornò a Napoli, insieme con il fratello Ernesto, per studiare nel collegio degli scolopi di S. Carlo alle Mortelle. Uscito dal collegio nel 1865, visse con la famiglia a Napoli; conseguita la licenza si iscrisse, insieme col fratello, alla facoltà di legge dell'università cittadina, dove si laureò nel dicembre del 1869. Non mostrò, però, particolare passione per gli studi giuridici, preferendo quelli storici. Seguì anche i corsi di Settembrini, di cui divenne intrinseco.
Dopo la laurea il Fortunato era ancora incerto sul suo avvenire. Attratto dall'arte, avrebbe voluto seguire i corsi dell'Accademia diretta da G. Morelli, ma i familiari non gliene diedero il permesso. Intraprese allora lo studio del tedesco, in sintonia con la cultura napoletana della seconda metà dell'Ottocento; ma sempre più urgente si faceva in lui l'interrogativo, di natura morale e politica, circa l'inferiorità del Mezzogiorno. Il desiderio di chiarire questo "primo enimma" (Carteggio, II, p. 271), lo portò a diverse e complementari esperienze attraverso le quali doveva maturare la sua visione definitiva del problema.
Nel 1872 venne fondata a Napoli la sezione del Club alpino italiano. Qui, sotto la guida del professor N.A. Pedicino, botanico, e ancor più del suo assistente A. Jatta, il Fortunato cominciò ad acquisire cognizioni precise sulle terre meridionali.
Dal 1872 al 1876 seguì all'università i corsi di letteratura di F. De Sanctis di cui assorbì profondamente l'insegnamento e da cui trasse la convinzione della pochezza della storia d'Italia: un paese privo di grandi tradizioni politiche e civili, il cui emblema era il letterato attento solo ai suoi interessi, l'uomo del Guicciardini. Nel 1872, dopo due anni di pratica legale, il fratello Ernesto decise di dedicarsi alla conduzione e all'amministrazione delle terre. Dal gennaio 1873 si trasferì a Gaudiano per rimettere ordine nelle proprietà dissestate e riuscì a trasformarle in un'azienda modello, assicurando con il suo lavoro il sostentamento a tutta la famiglia.
Rispetto a tale scelta il Fortunato si sentì chiamato a cercare una propria strada; in quel periodo cominciò a collaborare in maniera sempre più assidua a giornali moderati quali La Patria e l'Unità nazionale. Nel 1873 vinse il concorso per il ruolo dei funzionari di prefettura cui, però, rinunciò; a Napoli, sempre più assorbito dall'attività giornalistica, fu in contatto costante con P. Turiello, con cui instaurò un rapporto di grande amicizia; su sollecitazione di questo tradusse, nel 1873, la parte del Viaggio in Italia di Goethe relativa a Napoli, pubblicandola nella primavera successiva come "appendice" sull'Unità nazionale. Dal Turiello mutuò anche un maggior interesse e una più precisa conoscenza dei problemi locali, dalla situazione igienico-edilizia di Napoli alle convenzioni ferroviarie, dall'emigrazione agli istituti di previdenza.
Nel 1874 il Fortunato pubblicò Ricordi di Napoli (Milano; rist. Napoli 1987), una raccolta di brevi scritti composti negli anni precedenti, a partire dal 1870, caratterizzati da una descrizione artistica e paesaggistica d'ispirazione goethiana nella contemplazione unitaria dei fenomeni naturali e artistici.
L'esperienza giornalistica, intanto, gli aveva aperto una nuova strada. Il 6 febbraio 1874 aveva pubblicato su l'Unità nazionale un lungo articolo sulla nuova banca di credito popolare di Rionero: una forma societaria utile per introdurre il credito in regioni devastate dall'usura, consentendo la formazione di capitali. In un successivo editoriale del 27 febbraio il giornale fece propria la tesi dell'articolo e il 2 marzo, alla riunione dell'Associazione unitaria meridionale, fu insediata una commissione incaricata di studiare il problema e proporre le migliori soluzioni. Membro della commissione e poi relatore fu il Fortunato, la cui relazione - un'autentica monografia - venne pubblicata con il titolo: Delle società cooperative di credito (Napoli 1875; 2ª ed., Milano 1877).
Nell'estate del 1875 lesse - e discusse a lungo col Turiello - il libro a doppia firma di L. Franchetti, Condizioni economiche ed amministrative delle provincie napoletane, e S. Sonnino, La mezzeria in Toscana (Firenze 1875); pochi anni dopo (ibid. 1878) comparvero Le lettere meridionali di P. Villari. Queste pubblicazioni diedero al Fortunato l'impressione di esser partecipe di una corrente d'opinione in cui anche altri indirizzavano in senso analogo al suo la loro riflessione. A partire dal 1878, su indicazione del Villari, divenne corrispondente della Rassegna settimanale di S. Sonnino e L. Franchetti, pubblicandovi un insieme di contributi critici che denotano la sua accresciuta capacità di analisi sociale e politica.
La candidatura alle elezioni del maggio 1880 fu lo sbocco quasi inevitabile di questa lunga stagione di studi e di indagini. Il Fortunato - appoggiato soprattutto a Rionero che lo votò compatta, ma riuscendo a far breccia anche nel resto del collegio - risultò eletto. Come farà fino al 1892, non si presentò nel collegio durante la campagna elettorale, ma espose le sue idee in una lettera-appello agli elettori.
In Parlamento il Fortunato si riconobbe, all'inizio, nel piccolo gruppo dei cosiddetti "rassegnati". Nonostante la giovane età, l'ampia conoscenza dei problemi gli consentì di intervenire da subito con autorevolezza in materia di Monti frumentari e di demani. La necessità di sintesi, legata al ritmo della vita politica, lo portò, inoltre, a precisare i motivi ispiratori del suo impegno, e a riassumere e definire con chiarezza la sua impostazione del problema meridionale.
Il primo intervento del Fortunato su di un argomento di politica generale si ebbe nel marzo del 1881, in occasione della discussione sulla nuova legge elettorale, quando prese posizione contro lo scrutinio di lista. Il F. si mosse anche in favore delle richieste del suo collegio: dall'aggregazione del casale di Sterpito al Comune di Avagliano alla delimitazione dei Comuni di Rionero e Avella, dal riconoscimento dell'istituto tecnico di Melfi alla strada rotabile del Vulture, alla ferrovia ofantina, iniziativa che lo tenne impegnato fino al 1897.
Il F. acquistò presto reputazione di deputato scrupoloso e autorevole, dotato di indipendenza di giudizio, un aspetto, questo, che si sarebbe accentuato con il passar del tempo. Nello stesso periodo strinse numerose amicizie, divenendo intrinseco di un gruppo di deputati genovesi, fra cui N. Mameli, nonché intimo di F. Martini, cui sottoponeva il testo dei suoi discorsi, e abituale frequentatore del suo salotto.
Se il F. appoggiò A. Depretis, pur non condividendo la decisione di chiudere anticipatamente la legislatura nel 1886, al momento del varo del governo Crispi non ne sostenne, come Sonnino e Franchetti, la politica. La sua opposizione riguardò le garanzie liberali non meno della politica economica. Anzitutto espresse contrarietà al dazio sul grano, una presa di posizione liberoscambista che non attenuava il suo statalismo. Contemporaneamente si affacciavano nel F. preoccupazioni sull'assetto finanziario dello Stato, che resteranno poi sempre al centro della sua attenzione.
Avvicinatosi a G. Zanardelli, di cui condivise le scelte politiche di fondo e a cui rimase legato, il F. risultò, però, sempre più isolato nell'arena parlamentare. All'indipendenza di giudizio manifestata in ogni occasione e all'atteggiamento al tempo stesso schivo e anticonformista si aggiungeva il rifiuto, pur se più volte sollecitato, di entrare in un ministero. L'unico incarico che ebbe fu quello di segretario alla presidenza della Camera dal 1886 al 1897.
L'attività parlamentare, per quanto intensa, non era esaustiva degli impegni del F. e, anzi, si alimentava in un ampio retroterra civile e sociale. Accanto all'impegno per il collegio, indirizzato a ricondurre a richieste di carattere generale le sollecitazioni minute, il F. tenne nei confronti dei suoi elettori un atteggiamento sempre attento e sollecito. La sua casa napoletana di via Vittoria Colonna era aperta ai visitatori, e i comprovinciali vi trovavano mensa ospitale; il suo salotto era un luogo di incontro vivace.
Il centro morale e spirituale della sua attività, comunque, restava sempre Gaudiano, dove si recava tutte le volte che poteva. L'azienda familiare, guidata dal fratello, era per il F. anche un modello economico e sociale. Molte delle sue idee, richieste e proposte politiche traevano origine dall'osservazione dell'esperienza di Gaudiano. 
Nonostante la situazione di isolamento il F. non dismise l'impegno su temi specifici. Nel 1901, su invito del ministro dell'Agricoltura, preparò un disegno di legge per la risoluzione della questione demaniale. Il progetto - che non ebbe seguito - riprendeva la posizione espressa venti anni prima sulla Rassegna.
In occasione della discussione parlamentare sulla malaria del luglio 1898 tornò a caldeggiare questa richiesta; di lì a poco, il 14 luglio, nasceva a Roma, promotori il Franchetti e il F., la Società per gli studi della malaria. Nella lotta, che portò all'approvazione di una prima legge sul chinino di Stato il 23 dic. 1900, il F. - che tenne anche per due periodi la presidenza dell'associazione - fu in prima linea e si prodigò anche in seguito per ottenere che le leggi sulla malaria fossero adeguatamente applicate.
Quando, dal febbraio del 1901 ai primi di novembre del 1903, lo Zanardelli assunse la presidenza del Consiglio, il F. tornò, dopo molti anni, a votare a favore del ministero.
Su sua sollecitazione il presidente del Consiglio venne in visita ufficiale in Basilicata; tuttavia il F. non condivise la successiva legge speciale a favore della regione in quanto contrastava con la politica di risparmio e di riduzione, o di non aumento, delle tasse che aveva sempre sostenuto. La legge speciale e l'interesse a essa mostrato nella provincia contribuirono, poi, a rendere meno salda la fiducia nel collegio e nel suo esserne adeguato rappresentante che sempre avevano accompagnato la sua attività politica. Nel 1903 la sopravvenuta scomparsa di Zanardelli lo privava, inoltre, del principale referente politico. Benché si fosse infine convinto a porre nuovamente la sua candidatura alle elezioni sopraggiunte all'improvviso, precisò che quella sarebbe stata la sua ultima legislatura.
Tale condizione psicologica di distacco si riverberò anche nell'attività parlamentare, che lo vide meno presente del consueto. In questo periodo, però, produsse due scritti che costituirono un notevole sforzo di riflessione e di sistemazione delle proprie idee.
Nello scritto con cui il F. si congedava dagli elettori nel 1909 (I servizi pubblici e la XXII legislatura: lettera agli amici del collegio di Melfi, Roma) il punto di partenza era, come sempre, la debolezza strutturale dell'edificio unitario che bisognava rafforzare.
Per questo occorreva il suffragio universale, con l'ammissione alle urne anche dei contadini. Un elemento nuovo era costituito dalla preoccupazione per la sindacalizzazione estesa anche ai dipendenti dei servizi pubblici. Qui il F. faceva propria l'analisi di G. Mosca sul pericolo di un feudalesimo funzionale che avrebbe portato a una segmentazione della società in tanti corpi autonomi e non più governabili. In più aggiungeva un giudizio critico sui risultati del socialismo, passato a difendere la piccola borghesia impiegatizia.
Ribadita l'avversione alle leggi speciali e agli ampi lavori pubblici come all'affidamento di nuovi compiti allo Stato, il F. proponeva una politica che favorisse il risparmio e l'aumento della ricchezza (Il Mezzogiorno…, p. 635).
Prima delle elezioni, nell'aprile del 1909, il F. venne nominato senatore per la 3ª categoria ("deputati per tre legislature").
Nei lunghi anni della deputazione, come anche in quelli dell'apprendistato giornalistico e politico, il F. non aveva dismesso i giovanili interessi per gli studi storici. Nel 1875 era stato tra i fondatori della Società napoletana di storia patria. Successivamente, come deputato, era stato membro del Consiglio per gli archivi dal 1893 al 1904. Ma, soprattutto, sempre aveva seguitato a frequentare biblioteche e archivi, a raccogliere notizie e a copiare documenti su argomenti relativi alla storia dell'Italia meridionale. 
La riflessione e il ripensamento seguiti all'abbandono della politica attiva non segnarono però una stasi nella sua attività. Nel suo salotto di Napoli la discussione rimase sempre viva e da essa venivano nuovi stimoli, inoltre poté dedicarsi più liberamente alla corrispondenza privata che costituì un suo particolare modo di azione e di presenza politica e civile.
Sollecitato dagli amici, il F. si convinse a raccogliere e ristampare i suoi principali discorsi politici, destinando il ricavato all'ANIMI (Associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d'Italia), creata nel 1910, di cui fu socio fondatore e presidente onorario dal 1918 fino alla morte. L'opera recava il titolo, suggerito dal Croce, Il Mezzogiorno e lo Stato italiano (Bari 1911; 2ª ed., Firenze 1925). Questa raccolta segnò la consacrazione della fama del F., in quanto consentì a una nuova generazione di pubblicisti e di studiosi di conoscere il suo contributo politico e intellettuale.
In quel periodo il F. entrò in contatto con G. Salvemini, di cui apprezzava gli articoli pubblicati su La Voce. Egli sperò di poter diffondere grazie a questa rivista le sue idee sul problema meridionale. Quando si accorse che all'interno della Voceprevaleva un diverso orientamento, accolse con entusiasmo la proposta di un nuovo settimanale. Nell'ottobre del 1911, Salvemini, presenti anche G. Luzzato e G. Petraglione, concordò con il F. il nome della nuova testata e il sottotitolo: L'Unità. Problemi della vita italiana.
Questa nuova stagione politica del F. doveva però interrompersi bruscamente di lì a non molto per un sommarsi di motivi personali prima e di ragioni politiche poi. Nel 1913 morì repentinamente, e senza lasciare eredi maschi, il fratello Luigi, unico a essersi sposato, secondo il costume familiare. Nell'estate si ammalò a un occhio Ernesto, che lasciò Gaudiano per potersi curare a Napoli.
L'anno successivo, allo scoppio della prima guerra mondiale, il F. si schierò sul fronte neutralista. Sostenne il giornale promosso dal Croce, Italia nostra, e manifestò più volte la sua solidarietà a G. Giolitti. Una posizione che lo portò in conflitto con l'interventismo democratico del Salvemini. 
Intimamente, però, si sentiva inquieto e preoccupato. Gli anni di guerra furono anni di ripiegamento interiore e di tristezza, appena attenuata dall'operosità consueta. Sul piano privato il decorso della malattia del fratello si faceva sempre più penoso. E anche la salute del F. peggiorava e i suoi vari malanni si cronicizzavano. Sul piano politico la guerra segnava la fine di quell'esperimento di chiarificazione e di educazione politica che per lui era l'aspetto più interessante e valido dell'Unità.
Terminata la guerra il F. tornò a difendere la sua impostazione dei problemi meridionali. Nel corso del 1919 si batté contro l'istituzione dei consorzi antianofelici, ribadendo la necessità, per debellare la malaria, di diffondere l'uso del chinino anche a scopo preventivo, permettendone la vendita anche nelle rivendite delle privative di Stato.
Nel 1910 aveva perso l'uso dell'occhio sinistro e l'altro si sarebbe indebolito progressivamente. Dal 1919 non si mosse più da Napoli e dovette disertare le sedute del Senato.
Il 6 dic. 1921 morì il fratello Ernesto. Questo significò il doversi addossare la responsabilità totale dell'amministrazione dell'azienda, già dissestata e aggravata dalle onerose tasse di successione e dalla necessità di dotare le numerose nipoti.
In questi anni difficili il maggior conforto gli venne dalla corrispondenza e dalle conversazioni con gli amici. Lettore attento e appassionato fino all'ultimo, il F. entrò in contatto con numerosi esponenti della nuova generazione e poi oppositori del fascismo. Fra gli altri e più noti vale la pena di ricordare P. Gobetti, N. Rosselli, G. Dorso, M. Rossi Doria. Con Salvemini i rapporti rimasero affettuosi, ma le divergenze temperamentali, più che i dissensi di opinione, non consentirono la ripresa di una collaborazione. Si legò particolarmente a G. Ansaldo e a U. Zanotti Bianco, animatore dell'ANIMI, il quale lo convinse a ristampare i suoi scritti nella collezione meridionale da lui diretta per l'editore Vallecchi.
A questa cupa visione portò un raggio di luce la Storia d'Italia dal 1871 al 1915 del Croce che suscitò il suo entusiasmo. Un atteggiamento logico se si riflette che quell'opera, in cui il Croce rifaceva la storia d'Italia dopo l'Unità, si avvicinava alla concezione della storia come strumento di educazione civile che il F. aveva sempre sostenuto. Inoltre, il libro valorizzava le conquiste del cinquantennio liberale, che il F. considerò sempre la sola parte degna della storia italiana.
Un altro momento di soddisfazione fu l'approvazione, nel 1927, della legge sui demani, che accoglieva in gran parte le tesi che aveva propugnato da quasi un cinquantennio.
In genere, però, furono anni tristi e affannosi. Ai problemi amministrativi e ai malanni fisici si aggiunse il dolore per la scomparsa del nipote prediletto, Alberto Viggiani, suicidatosi nel 1928. Ma, nonostante tutto, il F. continuò a lavorare. Oltre alla fitta corrispondenza pubblicò numerosi opuscoli su vari argomenti (demani, occupazione coattiva e poi bonifica integrale dei pascoli di Gaudiano, ristampa delle recensioni ai suoi studi di storia medievale).
Nel novembre 1931 le sue condizioni si aggravarono e andarono poi man mano peggiorando. Morì a Napoli il 23 luglio 1932.


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