venerdì 24 maggio 2013

L'antica Lucania. 2. Il territorio (D. Adamesteanu)

La Lucania fu una regione dell'Italia meridionale, tra la Campania, la Calabria e le Puglie, che nella divisione amministrativa dell'età di Augusto fu unita ai Bruzii (Calabria) a formare la Regione III. Questa era delimitata verso la Campania dal basso corso del Sele e dal Bradano e verso i Bruzii dal fiume Laino sul Tirreno, dai fiumi Sibari e Crati sullo Ionio. Il centro amministrativo odierno è Potenza (la regione sino alla fine del 1932 ebbe nome Basilicata).
Nella prima fase dell'Età del Ferro si può dire che tutti gli insediamenti dell'Età del Bronzo in Lucania abbandonano i siti nella pianura per salire sulle colline più facilmente difendibili. Le tracce di capanne protostoriche di Ferrandina (Croce Missionaria), di Cancellara (Carpine), di Vaglio della Basilicata (Serra S. Bernardo), di Timmari e di S. Maria d'Anglona (Pandosia?), per citare, soltanto qualche esempio, indicano in maniera evidente questo passaggio.
Con il VII-VI sec. a. C. tutti questi centri cercano di difendersi con le costruzioni di fortificazioni a grandi blocchi irregolari che formano, spesse volte, un vero aggere. Di solito questo primo nucleo è destinato a formare l'acropoli del centro nel suo normale sviluppo urbanistico.
Nello sviluppo del centro si possono cogliere diverse fasi che si prolungano attraverso i secoli e sempre collegate ad avvenimenti storici facilmente individuabili.
La Lucania in realtà non è affatto una zona isolata, come finora comunemente si credeva. La presenza dei cinque grandi fiumi (Basento, Bradano, Cavone, Agri e Sinni) che l'attraversano da SE a NO per finire nel Golfo di Taranto, significa un continuo contatto tra la costa e l'interno e quindi una rapida trasformazione di tutti quei centri che si trovano lungo queste larghe vallate.
Il Bradano, attraverso i suoi affluenti arriva fino ai piedi di Lavello e di Melfi, mentre la vallata del Basento si spinge fino ai piedi di Torre di Satriano, a pochi chilometri quindi dalle sorgenti dell'Agri. Così si spiega il rapido trasformarsi dei centri indigeni che dominano la vallata del Bradano, come Cozzo Presepe, Contrada Difesa, Montescaglioso, Pomarico Vecchio, Timmari, Moltone di Tolve, Montrone di Oppido Lucano, Carpine di Cancellara, Torretta di Pietragalla, Castel Serico, Quercia di Annibale, Lavello e Melfi. Altrettanto rapida è la trasformazione dei centri che dominano la valle del Basento, come Pisticci, Ferrandina, Garaguso, Croccia Cognato, Civita di Tricarico, Macchia di Rossano e Serra di Vaglio di Basilicata.
Non meno rapida è la penetrazione greca della costa nei centri che dominano le vallate dell'Agri e del Sinni, compresi i loro affluenti, come Monte Coppola, S. Maria d'Anglona (Pandosia ?), Battifarano di Roccanova e Chiaromonte, Alianello, Cersosimo, Serra Lustrante di Armento, Grumentum, Civita di Marsico Vetere e la civita di Nemoli.
Accanto a queste vie di penetrazione che partono dalla costa metapontina e dalla Siritide, altre vie di penetrazione mettono in contatto la Lucania con la zona pestana e con la Puglia. La vallata del Sele penetra sul fianco occidentale della Lucania fino ai piedi del Vulture, mentre quella dell'Ofanto passa quasi ai piedi di Melfi e di Gravetta di Lavello.
Lo stesso fenomeno si presenta anche nella vallata del Tanagro, affluente del Sele, conosciuta sotto il nome di Vallo di Diano. I centri antichi di Padula e Sala Consilina, conosciuti piuttosto attraverso le necropoli, iniziano i loro contatti con il mondo greco ed etrusco-campano già sul finire del VII sec. a. C., senza perdere però il loro carattere di cultura prelucana o enotria fino alla fine del VI sec. a. C. Anche se il tessuto di questa facies lucana presenta sfumature, esso resta unitario da Palinuro a Ferrandina e da Melfi a Serra Lustrante a Roccanova. Esistono però, e per lungo tempo, gli influssi marginali facilmente individuabili in ambienti come Lavello o Melfi, strettamente collegati alla Puglia, o come Sala Consilina, strettamente collegata al mondo greco ed etrusco-campano. Ma anche queste sfumature cominciano ad essere livellate durante la prima metà del V sec. a. C., quando si assiste ad una vera koinè lucana.
La Lucania rappresenta quindi un punto di incrocio di quasi tutte le correnti culturali dell'Italia meridionale e non deve essere considerata isolata tra le sue montagne e colline, tra le sue pianure e vallate. Così si spiega la presenza, a Vaglio, di terrecotte architettoniche arcaiche di tipo greco ed etrusco-campano, di antefisse e bronzi etrusco-campani di età arcaica a Melfi, di oinochòai rodie in bronzo e di bucchero etrusco, della fine del VII sec. a. C., a Serra Lustrante di Armento e ad Armento stessa, sulla vallata dell'Agri.
Altrettanto chiara si presenta però anche la penetrazione àpula con i suoi vasi arcaici, facilmente riconoscibili per la loro caratteristica decorazione geometrica.
Nel periodo che va dalla fine del VII alla fine del VI sec. a. C., quasi tutti questi centri indigeni allargano la loro cerchia di difesa, creando un vero abitato di tipo greco in cui l'antico insediamento diventa acropoli, destinata ora alla zona sacra.
È un fenomeno che richiama molto da vicino i centri indigeni arcaici della Sicilia, come, per esempio Monte Bubbonia o Monte Saraceno di Ravanusa. In qualche caso, come a Torretta di Pietragalla, il primitivo centro indigeno resta totalmente isolato dal resto della città ingrandita. Soltanto quando, durante il VI-IV sec. a. C., i centri si allargano nuovamente, come Serra di Vaglio, alla vecchia zona sacra dell'acropoli si aggiunge un'altra, situata nel mezzo della seconda fase di ingrandimento e al centro di un impianto urbanistico ortogonale risalente alla fine del VI, inizio del V sec. a. C.
Questi centri s'ingrandiscono quindi a macchia d'olio sovrapponendo gli isolati alle necropoli. Un fenomeno generale quindi che si verifica dalla Sicilia fino a M. Sannace in Puglia.
La vera tecnica greca nella costruzione delle fortificazioni appare invece soltanto nel IV sec. a. C. e più precisamente alla fine di questo secolo. Così almeno appaiono le fortificazioni di Serra di Vaglio, di Torre di Satriano, di Pomarico Vecchio, di Torretta di Pietragalla e di Civita di Tricarico o di Croccia Cognato.
Si tratta di una tecnica greca, con struttura isodoma, spesse volte consistente in un solo paramento esterno ed un grande riempimento che richiama alla mente le fortificazioni ad aggere.
Se si hanno ancora dubbî sulle popolazioni cui si possono assegnare le precedenti opere di difesa ed i contatti con il mondo greco, etrusco-campano ed àpulo, le fortificazioni di tipo greco possono invece essere attribuite certamente ai Lucani: dal IV sec. a. C., la loro presenza in questa zona è ben accertata anche dai testi antichi.
Con la fine del V sec. e durante tutto il IV sec. a. C. si assiste ad un fiorire di fabbriche vascolari locali in cui operano Pittori come quello di Pisticci, di Armento e Roccanova, nella parte meridionale, o come il Pittore di Melfi, nella parte settentrionale della regione. Similmente alla produzione arcaica di Melfi, Cancellara (Carpine) o di Roccanova, anche questa produzione s'ispira a modelli greci della costa o della madrepatria.
La vita dei centri indigeni, ellenizzati durante il periodo compreso tra il VI e il V sec. a. C., può essere seguita fino alla metà del III sec. a. C. sempre sullo stesso sito. Da questo periodo in poi, con l'eccezione di qualcuno, come Melfi o Macchia di Rossano, questi centri scendono nuovamente in pianura, formando, inizialmente, una catena di fattorie, in gran parte sistemate nelle pianure e nelle vallate.
In questo periodo sorgono però anche grandi centri romani, come Grumentum e Venosa, il primo sovrapponendosi ad un centro indigeno, il secondo soltanto parzialmente insediato su un altro centro precedente. Con il I sec. a. C., mentre i due maggiori centri romani s'ingrandiscono e assumono l'aspetto conservato fino al tardo periodo romano, le fattorie si raggruppano in nuclei sempre maggiori.
Dalle fattorie romane dell'Incoronata e del Demanio del Metapontino fino a quelle di Leonessa di Melfi, si assiste ad un incremento continuo del popolamento delle campagne e dell'abbandono definitivo dei centri situati in posizioni alte. Nascono, in questo periodo e nei primi decennî dell'Impero, le grandi arterie romane che attraversavano la L. mettendola in contatto con l'Appia o la Popilia. Dalle necropoli di queste fattorie, raggruppate in veri villaggi, provengono i sarcofagi di Atella o quello di Albero in Piano, nell'agro di Rapolla, i mosaici di Calle e le iscrizioni di S. Cataldo di Ruoti e di Cugno dei Vagni di Nuova Siri Scalo.
Contrariamente a quanto è stato detto finora, anche nel periodo romano imperiale la Lucania ha avuto una sua vita ricca e ben ordinata. Se si è parlato di uno spopolamento e di miseria in questa zona, ciò si deve più alla mancanza di indagini metodiche che ad una realtà. Proprio in questo momento di silenzio da parte delle fonti letterarie si assiste allo splendore di Venosa, Grumentum ed Eraclea e allo infittirsi di insediamenti, ricchi in terme e necropoli monumentali, anche nei più piccoli raggruppamenti, come quello di Sansaniello, tra Rapolla e Venosa, o come l'altro di S. Martino d'Agri.
Il mondo antico della Lucania si chiude con il formarsi dei centri altomedievali di S. Maria d'Irsi, di S. Vito, di S. Antonio Casaleni, di Vitalba e Boreano; è il momento dell'arrivo dei Basiliani cui la regione deve un altro momento di fioritura e di collegamento con il mondo greco.

FONTE: Voce di D. ADAMESTEANU in Enciclopedia dell' Arte Antica I Supplemento (1973)

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