giovedì 23 gennaio 2014

Paesi lucani. 13. Avigliano nel XVI secolo, tra feudo e università

Avigliano dal 1528 in poi passò nel giro di pochi anni sotto la giurisdizione di molti signori e solo a metà del Cinquecento tornò in possesso dei Caracciolo, ma di un ramo cadetto della famiglia dei primi grandi feudatari. Antonio Caracciolo, dunque, risulta essere il sestogenito di Bernabò Caracciolo, conte di Brienza, duca di Caggiano e Signore di Sicignano. Il primogenito di Antonio, dunque, era quel Giovan Battista che concordò le capitolazioni del 1579 con l’Università. Antonio Caracciolo e i suoi successori legavano, quindi, il titolo di barone al solo possesso di Avigliano, frutto di manovre speculativo-finanziarie, ma anche di strategie familiari interne al clan; era naturale, quindi, che su quella terra esercitassero uno stretto controllo, forti della reiterata formula medievale. Le congiunture storiche mutate (si ricordi che i Caracciolo appartenevano alla vecchio gruppo nobiliare il cui potere i Sovrani spagnoli cercavano di arginare), i numerosi ricorsi dell’Università al Sacro Regio Consiglio per denunciare gli abusi baronali già a partire dal 1551, avevano fatto sì che il potere feudale venisse limitato e i nuovi diritti degli uomini di Avigliano ufficializzati nei capitoli del 1579.
Con l’articolo 46, ad esempio, si ridusse il potere politico del barone rivendicando la libertà per Sindaco, Eletti ed uomini di Avigliano di riunirsi in Consiglio senza l’intervento del Signore o del Capitano, qualora si fossero trattati argomenti contro di essi. Maggiormente significativo il capitolo 47 nel quale venne, addirittura, fatta richiesta al Signore di non intromettersi «in atto di iurisdittione», ma di lasciarne l’esercizio al Capitano o al Luogotenente da lui nominati. Vennero, inoltre, regolamentati qualitativamente e quantitativamente anche i servizi da rendere al barone: dovevano essere effettuati solo dalle persone designate e se ne fossero state utilizzate altre sarebbe stato necessario stipendiarle.
Ma, come in altre realtà del Mezzogiorno, la norma scritta non fu sufficiente a garantire le tutele ottenute nel 1579 contro la preponderanza baronale, tanto che, dopo un ulteriore ricorso al Saro Regio Consiglio, si pervenne ad una nuova convenzione integrativa della prima. Tra i Nuovi Capitoli del 1595 spicca, dunque, a ulteriore conferma di quanto detto finora, l’articolo 13, nel quale veniva intimato al Capitano di «osservare tutti capitoli, decreti, statuti et consuetudini di essa Università, quali se li presenteranno et notificheranno. Et non observandoli o rompendono qualsivoglia di essi, sia esso Magnifico Officiale, tenuto all’Università predetta pagar ducati mille di pena»; ma le multe non erano previste solo per il rappresentante del barone: infatti «detto Illustrissimo Signore promette osservare detti capitoli, statuti, decreti et consuetudini d’ essa Università et rompendoli in tutto, o vero, in parte, o qualsivoglia di essi sia tenuto a detti ducati sei millia, et seicento, una con tutti li danni, spese, et interesse dal dì della controventione».

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