giovedì 27 febbraio 2014

La Basilicata moderna. 13. La Basilicata nel XIX secolo

Havvi nel fondo della penisola una regione la quale per ampiezza va innanzi a ogni altra, sol la cede all'insulare di Cagliari: e quasi altrettanto vasta di Toscana, ch'è pur divisa in sette provincie, si dilunga e s'allarga sovra un ventesimo della superficie del regno. Ha per confini due opposti mari e sei regioni. Novera quattro sedi di circondario, ognuno de' quali conta pressochè tre migliaia di chilometri quadri: quasi provincie. E nondimeno, umiltà disdicevole a tant' ampiezza, niuna delle contermini l'è addietro nel cammino de' progredimenti civili. Sovra ben settanta chilometri di scogliera molti seni, un solo e scarso approdo, quasi più che a sbocco di traffici a irrisione de' naviganti. Cinque grandi fiumane, molti canali - d'incerto letto, argini disfatti e nessun ponte: acque allaganti per ogni dove. Terreno sconvolto lungo civiltà varie che gli mutaron viso, da tremuoti, da rosioni de' secoli. Grandi foreste, onde ne' tempi in cui vi ricoveravano gli iddii, cosi narrano i gentili, dovea quella regione nostra essere un solo e vasto tempio. Qui orror di dirupi e cigli e balze e frane, là piani verdeggianti: or anella di monti, or cavità di convalli: dove squallore e paure di travolgimenti, altrove incantesimi di creazione. Non vaste città, poche n' hanno il nome: li più son villaggi miseri, ma ospitali. 
Non vaste città, poche n' hanno il nome: li più son villaggi miseri, ma ospitali. Delle antiche, talune vennero meno insieme alla grandezza e civiltà loro: onde grandi memorie, iscarse reliquie di città latine, niuna di greche. Metaponto ed Eraclea già sedi di imperi: or nuda terra e zolle ed acque ed aura letali, pestilenti. Fra men remote città, talune distrussero tremuoti: altre venner meno per migrazioni o incuria e disamore del luogo natio: di intiere o intatte nissuna: strana contrada ove ogni loco e città, poca o molta, ha la sua appendice di ruine. Più riti vi hanno devoti, il cattolico e il greco-scismatico: e nel mezzo, quasi in grembo agli indigeni, v'hanno colonie greche albanesi, con lingue e costumanze pertinacemente proprie. Vaghezza di favellii, colorito e immagini dell'oriento, modulazioni varie e melodie: solo indizio che ne rimanga di civiltà ed imperi de' quali prima vennero meno gli archi, i templi e le città che non la lingua: e prima pur essa della armonia modulatrice, nonostante il volgere de' secoli, de' favellii odierni. Rade vestigia di monumenti, un solo ha parti in piè, là dove fu la magna Grecia, il tempio di Pittagora: esili colonne, pochi archi e capitelli, umili suoi avanzi che un lieve soffio di altri anni atterrerà. Delle vie l'Appia, l'Aquilia, grandi arterie di popoli giganti, cancellato ogni segno: e corrono e pascolano animali su di terra ed ha nelle viscere colonne ed archi e mausolei di pario, di granito e vasi di finissimo lavoro e divise ed armi e monete - e iddìi, ed altri segni di civiltà ch'or son miti, come quella in cui viviamo lo sarà ne' millenj avvenire.

FONTE: E. PANI ROSSI, La Basilicata, libri tre. Studi politici, amministrativi e di economia publica, Verona, coi Tipi di Giuseppe Civelli, 1868, pp. 21-28.

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