giovedì 30 aprile 2015

Risorgimento lucano. 20. Il punto sul 1848-1860

L’ampio periodo tra gli snodi del 1820-21 e del 1848-49, pur se, come detto più volte in questo blog, ampiamente riconducibile ad un significativo cambio generazionale, non mise in discussione l’evoluzione, in senso costituzionale, dello Stato napoleonico, fermo restando, da parte dei gruppi radicali, «un forte accento sul democratismo della carta di Cadice», mentre, da parte dei moderati, attestati sul costituzionalismo, il «valore di garanzia», con l’obiettivo di contemperare le richieste dei nuovi gruppi sociali meridionali con quelli che erano gli interessi della monarchia. Sicché lo stesso progetto federativo sarebbe stato, di fatto, praticato in una logica fondata più sull’apparenza che sulla sostanza. In tal modo si diluivano nel più grande ed unificante tema della nazionalità i motivi di tensione tra i patrioti e ciò spiegherebbe anche la rapidità con la quale, come detto, sia in Sicilia che sul continente, proprio nel corso della «primavera dei popoli», si assunsero distanze dal radicalismo, per non rischiare, proprio in nome della causa nazionale ed in presenza di mobilitazioni di massa, l’estremizzazione del processo politico-istituzionale.
La stessa insurrezione lucana dell’agosto 1860, in questo contesto, va  riconsiderata come significativa risultante di un’accurata pianificazione d’ambito nazionale e meridionale, attuata con l’obiettivo di imprimere un’accelerazione, sia pure in chiave moderata, al processo unitario, in modo tale da poterlo far percepire, proprio secondo gli indirizzi del Cavour, come «atto spontaneo» delle popolazioni meridionali, dunque non casualmente prima dello sbarco di Garibaldi in Calabria. La “rivoluzione lucana” dell’agosto 1860, inoltre, fu non casualmente affidata, con differenziate funzioni, a Giacinto Albini, Nicola Mignogna e Camillo Boldoni, nell’obiettivo, dopo un’accurata e capillare organizzazione militare in larga parte del territorio provinciale, di convergere nella città capoluogo Potenza, quale baricentro politico-istituzionale-amministrativo. 
Come da pianificazione, già il 19 agosto si riuscì a istituire a Potenza il Governo Prodittatoriale, che fu presieduto da Giacinto Albini e Nicola Mignogna, mentre a Camillo Boldoni fu affidato il comando dell’esercito insurrezionale. Al che seguì l’istituzione di una Giunta centrale di amministrazione (articolata in sette uffici) e la nomina di Commissari Civili Distrettuali, con l’obiettivo dell’organizzazione di Giunte insurrezionali locali, attraverso largo utilizzo di significative presenze di patrioti già attivamente impegnati nel corso del 1848-49. Di lì a pochi giorni, il 6 settembre del 1860, Giuseppe Garibaldi avrebbe nominato Giacinto Albini Governatore della Provincia di Basilicata. 
Eppure, a livello più generale, travolti dall’iniziativa politica di parte siciliana, incapaci di organizzare un moto di popolo a sostegno di Garibaldi, i liberali meridionali avrebbero visto franare il loro tradizionale predominio a livello locale; e proprio l’incapacità di mantenere sotto controllo tale situazione che riprese vigore i conflitti all’interno della provincia meridionale spinse a reclamare l’immediata uniformazione del Mezzogiorno al quadro politico-amministrativo del Piemonte. Sicché il Regno d’Italia nasceva dall’incontro di classi dirigenti dalle tradizioni politiche distinte: infatti, alla soluzione di una monarchia liberale prospettava da Cavour sul modello europeo della Francia e dell’Inghilterra erano chiamate a dare il loro decisivo contributo le élites meridionali, il cui costituzionalismo era invece di altra origine culturale e rifletteva un differente modo di concepire tanto le forme sociali che l’organizzazione dell’articolazione politica. Da qui una contraddizione che avrebbe pesato in modo determinante sugli sviluppi dell’Italia unita, perché la ricerca di un punto d’incontro ideologico tra gruppi dalla cultura politica differente avrebbe presto portato ad accentuare la riflessione sul primato dello Stato, col risultato di impedire la liberazione del dibattito politico dalle secche in cui lo aveva trascinato il fallimento del 1848.

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