giovedì 28 settembre 2017

Paesi lucani. 41a. Atella. 1. Cenni storici (Angelo Carriero)


Benchè l'ipotesi più accreditata dell'origine di Atella risalga al 1300, ve ne sono altre che identificano la sua origine addirittura a prima della nascita di Cristo. 
In particolare si dice che sia stata fondata da alcuni profughi provenienti da Atella (città campana) nel III secolo a.C. o addirittura si pensa che sia nata sulle rovine della città di Celenna, citata persino dal poeta latino Virgilio nella sua Eneide
Ma passiamo all'ipotesi più accreditata. La cittadina nacque tra il 1320 ed il 1330, a seguito di una riorganizzazione economico-sociale voluta dagli angioini. In quel periodo Giovanni d’Angiò, sestogenito di re Carlo II, conte di Gravina e signore di San Fele, Vitalba ed Armaterra, promise l’esenzione dalle imposte per dieci anni a coloro che si sarebbero trasferiti nella città che stava facendo edificare. Fu così che gli abitanti dei casali Rionero, Caldane, S. Marco, Balvano, S. Sofia e S. Andrea e dei castelli Masona, Armaterra, Lagopesole, Agromonte, Montemarcone, Monticchio dei Normanni, oppressi dalle prepotenze dei feudatari, decisero di trasferirsi nella nuova città degli angioini. 
Fu così che, sotto il governo angioino, Atella divenne un centro economico e militare molto importante, tanto da essere, a quel tempo, una delle città più ricche dell'intera Basilicata e, proprio per il suo crescente sviluppo, subì un notevole incremento demografico. La città venne dotata di mura e di un castello, e il suo accesso era assicurato da due porte di cui oggi è rimasta solamente una, quella di San Michele. I prodotti atellani, come cereali, formaggi e salumi, venivano esportati nelle città più importanti del Mezzogiorno e diversi atellani strinsero rapporti con alcune corti principesche italiane.
Quest'epoca di pace e prosperità durò circa un secolo e per Atella si prospettò un progressivo declino, causato da ripetuti saccheggi, da continui passaggi da un feudatario all'altro e da violente scosse sismiche. Nel 1423, la città divenne feudo di Giovanni Caracciolo, mentre nel 1496 fu saccheggiata dall'esercito francese di Gilberto di Montpensier e conquistata nel 1502 dal generale aragonese Gonzalo Fernández de Córdoba, dopo un assedio di circa 30 giorni. In seguito, numerosi nobili ebbero in dote Atella, come Filippo Chalon nel 1530, Antonio de Leyva nel 1532 e altre famiglie come i Capua, i Gesualdo e i Filomarino. 
Il paese venne seriamente danneggiato da una scossa di terremoto avvenuta nel 1694, che rovinò gran parte del patrimonio urbano, soprattutto il castello. Quest’ultimo era formato da quattro torri laterali di guardia e circondato da un profondo fossato; fu oggetto di due lunghi e sanguinosi assedi avvenuti nel 1361 e nel 1496; la Torre Angioina è l'unico elemento rimanente del castello costruito dagli angioini. Il sisma costrinse anche molti abitanti della cittadina a trasferirsi a Melfi che, seppur danneggiata, presentava migliori condizioni di vivibilità. 
Nel 1851 ci fu un altro sisma che quasi distrusse il paese. 
Nel periodo dell'Unità d'Italia, Atella partecipò attivamente al brigantaggio post-unitario che interessò gran parte della Basilicata. Circa un centinaio furono gli atellani coinvolti nelle rivolte brigantesche successive al 1861. Il maggior rappresentante del brigantaggio atellano fu Giuseppe Caruso, soprannominato Zi' Beppe: nato ad Atella, il 18 dicembre 1820, e morto nella stessa cittadina nel 1892, è stato un brigante italiano, tra i più distintivi del brigantaggio lucano. Assieme a Giovanni "Coppa" Fortunato e a Ninco Nanco fu uno dei più spietati luogotenenti di Carmine Crocco ma, dopo essersi consegnato alle autorità sabaude nel 1863, fu anche uno dei responsabili della repressione del brigantaggio nel Vulture. Stando a quanto affermato da Crocco, Caruso uccise 124 persone in quattro anni di latitanza. 

Si ringrazia lo studente Angelo Carriero, classe 4G, dell'IIS "Giustino Fortunato" di Rionero in Vulture (PZ), per il contributo.

giovedì 21 settembre 2017

Paesi lucani. 41. Cenni su San Fele nella prima età moderna

Confinante con le due province di Principato Citra e Ultra, al tempo della nota Relazione Gaudioso (1736), San Fele, «posta alla fine della provincia di Basilicata» contava circa 3200 abitanti «inclinati alla coltura de campi et all’industria del bestiame» . 
Posta tra i domini del Principe di Melfi «colla rendita di docati 2000 incirca destinandovi in essa il Governatore per l’amministrazione della Giustizia» per la giurisdizione feudale e amministrativa, si trovava soggetta per la parte spirituale alla Diocesi di Muro, contando anche un Convento dedicato a Sant’Antonio da Padova.
Le prime notizie risalgono all’età normanna quando San Fele risultava compresa nella contea di Roberto di Quaglietta, come si legge in G. DEL RE, Cronisti e scrittori sincroni napoletani editi ed inediti ordinati per serie e pubblicati da Giuseppe del Re. Storia della Monarchia, vol. I, Napoli 1845, p. 584. Passò successivamente al maresciallo Drogone di Beaumont (nel 1273) – cui il re angioino Carlo aveva affidato il compito di perseguitare il brigante Marcello di San Fele, accusato di saccheggiare il territorio con Giovanni Coppola ed era un personaggio fortemente legato alla corte angioina – che a sua volta la concesse, dopo la morte di suo figlio ed erede Adamo (o Adametto) a Guglielmo di Melun che la tenne fino al 1278, anno della sua morte. La terra passò poi a Stefano di Guascogna l’anno successivo, poi concessa dal re al signore di Minervino e castellano di Canosa Gerardo d’Ivort. Il feudo appartenne agli Ivort sicuramente fino al 1301, considerata la pretesa di diritti su un mulino della chiesa di S. Maria di Perno da parte del figlio di Gerardo, Giannetto.
«Come Castello-Fortezza che Ottone I di Sassonia, Imperatore del Sacro Romano Impero fece costruire subito dopo la battaglia di Bovino su questa altura di confine del Principato Longobardo di Salerno, particolarmente idonea alla strategia dell’offesa e della difesa contro gli assalti dei Bizantini. Al castello fu dato, sin dall’inizio, il nome originale di San Felice, perché costruttori o primi custodi di esso dovettero essere cittadini o militi di Venosa città che si gloria della protezione di San Felice Vescovo Africano di Tibari, ivi martirizzato ai tempi dell’Imperatore Diocleziano» (V. M. PASCALE, Nella terra di San Fele. San Fele nella storia delle dominazioni sassone, normanna e sveva (969-1269), Salerno: Tip. G. Jovane e C., 1962, p. 7).
L’importanza strategica di San Fele, ubicata in un’area montuosa, posta ad un’altitudine di oltre 870 mt. s.l.m., che le permetteva di rifuggire i pericoli cui si trovavano esposti gli abitanti delle aree pianeggianti (come il diffondersi della malaria per la presenza della palude o della peste, eventi bellici o di natura alluvionale) e rispondente alla tendenza a seguire il fenomeno dell’incastellamento  radicatosi del meridione italiano in età altomedievale, emerse nel periodo svevo, in quanto nella successiva dominazione angioina  si presentava di natura demaniale il suo castello-fortezza risalente al X secolo, insieme agli altri tre del Giustizierato di Basilicata (Acerenza, Melfi e Muro) .
Evoluzione demografica di San Fele in Età moderna
Evoluzione demografica di San Fele in età moderna

La terra di San Fele fu governata nel corso del tempo da diversi signori, finché, con l’avvento degli Aragonesi, si assistette ad una prima fase di mera distribuzione di feudi a borghesi arricchiti, o squattrinati uomini d’arme, cadetti della piccola nobiltà aragonese-catalana prima, castigliana dopo. In seguito subentrano i rappresentanti di cospicue famiglie mercantili genovesi che ottengono feudi in cambio di crediti vantati verso la corona con la diretta e conseguente imposizione di «criteri di sfruttamento delle rendite, spesso con spirito di rapina».
San Fele fu tra i possessi del principe d’Orange, Filiberto Chalon, a lui donata insieme ad altre Terre da parte di Carlo V per i servigi militari prestati, mentre due anni dopo Antonio de Leyva ricevette il feudo di Atella ed Abriola. Successore di Antonio fu Luigi de Leyva, principe di Ascoli e signore di Atella e San Fele, che commissionò dei lavori nel convento adiacente alla chiesa di Santa Maria di Pierno, come ricordava Fortunato .
«Che la peste avesse insevito nel vicino comune di San Fele nell’anno precedente (1529), risulta dalla Bolla, già citata, di Mons. De Grifoni che, sotto la data 25 Luglio dello stesso anno, inviava da Melfi al Sindaco di quel paese per la erezione di una Cappella a S. Sebastiano «ut, eo Martyre Protectore, clades paestis sedaretur» diffondendosi l’anno successivoi nel resto della Diocesi, come riportato nella stessa p. poco più sopra: «In una postilla del mio Ms. di carattere di Mons. Ferrone, scritta sul margine che corrisponde al nome di Mons. De Grifoni, 31° Vescovo del sillabo murano, si legge: Anno 1530, mense Februarii, Muro et in tota Dioecesi, paestis grassabat» (L. MARTUSCELLI, Numistrone e Muro Lucano, Napoli, Tip. Pesole, 1896, p. 454).
I due feudi venduti poi, con patto di ricompra, a Fabio Gesualdo e successivamente al genovese Francesco Grimaldi (1603), furono ancora oggetto di compravendita, affidati in seguito alla gestione dei Doria, signori di Melfi, per il tramite di Giacomo, figlio di Francesco Grimaldi . I Doria  mantennero il controllo del feudo di Melfi, tra cui la Terra di San Fele, fino all’eversione della feudalità (1806).

«San Fele aveva il “camerario”, il “bajolo” e il “giudice”. Neʼ tempi angioini, il Camerarius era l’impiegato camerale nell’amministrazione di qualche importante baronia; il Baiullus era un magistrato locale, che aveva il carico finanziario e amministrativo, ed anche giudiziario in civile; il Judex era l’assessore del Bajuolo» (G. FORTUNATO, Badie feudi e baroni nella Valle di Vitalba, a cura di T. Pedio, Manduria, Lacaita, 1968, vol. II, p. 16).




giovedì 7 settembre 2017

Bibliografie essenziali. 30. Grumentum romana. Convegno di studi, Grumento Nova (Potenza), 28-29 giugno 2008, a cura di A. Mastrocinque, Moliterno, Valentina Porfidio, 2009

ROCHAT GIORGIO
Prefazione (p.XI-XX)
CAPANO ANTONIO
Le "Terme Repubblicane" di Grumentum e la loro evoluzione nel contesto cittadino. Rapporto preliminare (p.78-112)
COTTICA DANIELA-TOMASELLA ELISA
Studi preliminari sulla sigillata africana dagli scavi 2005-2007 nel foro di Grumentum (p.113-136)
DI GIUSEPPE HELGA-RICCI GIOVANNI
L'angolo nord-occidentale del Foro di Grumentum. Una proposta interpretativa (p.137-172)
FINZI ERMANNO
Indagini geofisiche nell'area archeologica di Grumentum. Test 2006 (p.173-175)
FUSCO UGO
La stratigrafia archeologica presso il Tempio D (campagne di scavo 2005-2007) (p.176-216)
GUALTIERI MAURIZIO
La romanizzazione del territorio: Grumentum e l'alta Val d'Agri nel contesto della Lucania romana (p.217-233)
MARASTONI SILVIA
Il Mundus di Grumentum? (p.234-250)
MASTROCINQUE ATTILIO
Grumentum: nuove ricerche (p.251-256)
NAVA MARIA LUISA
Grumentum. Gli scavi del portico, della basilica e della fontana del foro (p.257-272)
SORIANO FIAMMETTA-CAMERLENGO LIANKA
Le mura di Grumentum. Aspetti topografici e archeologici (p.273-301)
SARACINO MASSIMO-BOTTURI CHIARA-PERRETTI TERESA-POZZANI LINDA-SORIANO FIAMMETTA
Il tempio rotondo presso il settore M, area Foro, Grumentum: indagini archeologiche e risultati preliminari (p.302-314)
SPERTI LUIGI
Un togato velato capite da Grumentum (p.315-321)
THALER HANSJORG
Gli scavi nelle terme imperiali (p.322-338)
ZSCHATZSCH ANEMONE
I nuovi mosaici di Grumentum (p.339-359)
BASCHIROTTO SILVIA
Grumentum: storia delle ricerche (p.9-19)
BOTTINI PAOLA
L'anfiteatro romano di Grumentum (p.20-37)
CALOMINO DARIO
Le monete del foro di Grumentum e la circolazione monetale nell'abitato (p.38-62)
CANDELATO FEDERICA-PERRETTI TERESA
Considerazioni preliminari sulla stratigrafia archeologica dell'area di scavo ubicata presso il lato orientale del cosiddetto Tempio C di Grumentum (PZ) (p.63-77)

Le perle lucane. 2. Lagonegro

«Partiamo da Lauria dopo avervi passata la notte, ma ancor troppo presto per poterne discernere la posizione; abbiamo fatto ventotto miglia ...